Pietro Pettinari ci descrive la vita “ordinaria” di un missionario in Costa d’Avorio nei giorni di sabato e domenica. Nella foto la domenica delle Palme a Sononzo.
Dal 6 febbraio mi trovo a Dianra, in Costa d’Avorio, presso la missione della Consolata dove vive e svolge il suo servizio mio figlio Matteo, insieme a padre Raphael del Kenya. Fino al mese di novembre 2017 viveva con loro anche padre Manolo, spagnolo, ora assente per malattia. Da domenica 10 marzo è arrivato anche padre Ariel, argentino, che qui ha svolto servizio per più di quattro anni e mezzo, tra il 2007 ed il 2011. Dopo otto anni è ritornato a Dianra per qualche mese.
In genere il sabato si stabilisce che ogni missionario vada a celebrare la messa in un villaggio delle varie parrocchie: Dianra, Dianra Village e Sononzo. Sabato 30 marzo avevano così stabilito: P. Raphael a Dianra, P. Matteo a Dianra Village e P. Ariel a Sononzo. Considerando che la comunità di Sononzo è la più lontana dalla “base” – circa 45 km – e che per andarci si passa per Dianra Village, siamo partiti con una sola macchina. In quel pomeriggio avevano deciso di portare al villaggio dei nonni paterni una bimba nata il 18 marzo e la cui mamma era deceduta poco dopo il parto. Il villaggio in questione, infatti, era situato proprio lungo il tragitto per Dianra Village.
Siamo partiti verso le ore 16.00 e sull’auto eravamo in 8: p. Ariel, p. Matteo, Roberta (moglie di Pietro, NdR) ed io, la bimba, la nonna ed altre due persone della famiglia. Dopo circa 20 minuti siamo arrivati al villaggio della bimba. Siamo scesi tutti dall’auto. Varie persone ci hanno accolto sulla strada e ci hanno fatto accomodare su delle sedie nel cortile della casa poco lontana. Dopo averci offerto dell’acqua ed aver adempiuto ai saluti e riti convenzionali, lasciata la neonata e la famiglia, siamo ripartiti.
Verso le 17.30 siamo arrivati a Dianra Village. P. Ariel è subito ripartito per passare la serata con i giovani di Sononzo e potervi poi restare per la messa domenicale. Io, Roberta e Matteo siamo restati a Dianra Village. Matteo ha dovuto sbrigare degli impegni al dispensario prima di partire in moto per il villaggio di Bébédougou. Poiché tutti e tre non potevamo andare, Matteo mi ha chiesto se volevo andare con lui a fargli compagnia, mentre Roberta sarebbe restata a Dianra Village. Io ho accettato volentieri di accompagnarlo. Il villaggio dove doveva andare si trovava ad una ventina di km. Indossato il casco, ho messo in spalla lo zaino e siamo partiti. Erano le 19.30. Prima di uscire dal villaggio, Matteo ha chiesto ad un giovane che conosce la zona quali fossero le condizioni della strada. Joseph lo ha rassicurato dicendo che era percorribile. Ci ha soltanto raccomandato di fare attenzione in alcuni tratti perché avremmo trovato molta sabbia accumulata… e così siamo ripartiti.
Detto fatto. Poco dopo ci siamo resi conto che la “strada” era in realtà una pista sconnessa con cumuli di sabbia che formavano dei solchi… pista che si snodava attraverso piantagioni di anacardo e di cotone. Nel buio della notte, le luci della moto non facilitavano molto il percorso. Prima di arrivare a destinazione, avremmo dovuto attraversare tre villaggi. Dopo il primo, Pétérikaha, ed il secondo, Chontanakaha, eccoci arrivare al terzo, Nadjokaha, dove ci doveva attendere il catechista Emile. Purtroppo, arrivati al punto di incontro stabilito, non abbiamo trovato nessuno. Matteo ha provato a telefonare, ma non c’era connessione. Nel villaggio, non essendoci l’illuminazione, si vedeva circolare qua e là qualche persona con la pila. Poco più in là, davanti ad una casa, c’erano due bambini dall’apparente età di otto-dieci anni che con dei bastoni battevano dentro un recipiente circolare in legno per frantumare delle granaglie. Più in là, seduti a terra intorno ad una scodella, ve ne erano altri quattro, dai due ai quattro anni, che con le mani stavano mangiando. Ed ecco che si avvicina un giovane, Basile, amico di Emile e membro della piccola comunità cattolica del villaggio. La notizia non è affatto buona: Emile non c’era in quanto era stato chiamato per cercare un bambino in un villaggio vicino, che poi è stato trovato morto in un pozzo…
A questo punto, Matteo decide di continuare senza accompagnamento per raggiungere il villaggio di Bébédougou. Non sapeva dove era il cortile scelto per la celebrazione, ma una volta arrivati al villaggio in questione, si è fermato nella casa del capo villaggio al quale ha chiesto se sapeva dove si sarebbe svolta la celebrazione religiosa. Egli, che si trovava sdraiato su un lettino nella veranda davanti casa, ha riconosciuto Matteo (infatti, proprio pochi mesi fa, il centro sanitario di cui Matteo è responsabile aveva inaugurato una casetta della salute nel suo villaggio…) e gentilmente si è alzato e ci ha accompagnato nel luogo richiesto che era a non più di 50 metri dalla sua abitazione. Giunti sul posto, alcune donne hanno portato delle sedie dove ci hanno fatto accomodare e, secondo la tradizione, ci hanno offerto dell’acqua e chiesto le notizie. Dopo una decina di minuti, abbiamo accompagnato il capo villaggio nella sua abitazione e siamo ritornati indietro. Le donne stavano già preparando per la celebrazione e per la cena. Erano già presenti una decina di persone, ed altre stavano affluendo dai villaggi vicini, chi a piedi e chi su motofurgone. Nel frattempo le donne avevano preparato nel cortile un piccolo tavolo come altare e davanti, in modo circolare, sedie e panche. La messa è iniziata verso le 21.45 e le persone erano più di 50, senza contare quelle alle spalle che osservavano incuriosite. La celebrazione è stata bella perché molto partecipata, con canti e preghiere individuali, anche se – come mi ha detto Matteo – la maggior parte dei partecipanti non erano ancora battezzati. La messa è terminata intorno alle 23.20. Subito le donne hanno portato la cena con grandi recipienti ricolmi di riso ed una tipica salsa verde come condimento. A me e Matteo hanno portato del riso con salsa di pesce e dei pezzi di ignam lessati. In pochi minuti i commensali avevano già mangiato tutto! A questo punto, vista l’ora e la tanta strada da percorrere per raggiungere Dianra Village, Matteo ha chiesto il permesso di ripartire (come usa qui si chiede la strada) e ce lo hanno concesso.
Dopo aver indossato il casco, ho ripreso lo zaino contenente gli arredi per l’altare e siamo partiti. La strada era molto insidiosa a causa della solita gran quantità di sabbia e, pur proseguendo a bassa velocità, ci è voluta tutta l’abilità di Matteo per mantenere l’equilibrio. Più volte ha dovuto mettere i piedi a terra per non cadere, tenendo conto dell’oscurità e delle insidie nascoste dietro ogni curva. La temperatura era gradevole e soffiava un vento leggero. Contrariamente all’andata, nel tragitto di ritorno abbiamo incrociato poche moto e furgonette, anche loro tutte in precario equilibrio. La cosa che mi sorprendeva era che, non essendoci l’illuminazione, ci trovavamo al centro dei villaggi senza neanche accorgercene, anche perché – vista l’ora – non c’erano più persone in giro con la pila. Attraversando il villaggio di Nadjokaha Matteo mi ha indicato il pozzo che i missionari hanno fatto realizzare poiché in quella zona non c’era più acqua. Il punto più vicino per attingere acqua si trovava a 9 km e quindi la gente era obbligata a percorrerne 18 per avere acqua potabile disponibile.
Siamo arrivati a Dianra Village verso mezzanotte e mezzo. E che dire? Per me è stata un’esperienza molto bella, dove ho potuto vedere persone semplici e piene di fede che pregano con tanto fervore. Matteo mi diceva che in questi villaggi il missionario lo vedono due o tre volte l’anno. La domenica si celebra la liturgia della parola con l’aiuto del catechista.
Siamo andati a letto che era l’una passata.
Questa è la giornata del missionario il sabato.
La domenica, poi, il missionario celebra la messa nella sede della parrocchia, dove, dopo la celebrazione, incontra secondo il programma i vari gruppi: giovani, corali, catecumeni, Caritas, catechisti ecc.
Il pranzo della domenica viene offerto al missionario, a turno, da una famiglia della comunità.
Ecco il mio resoconto di un tipico, “ordinario”, fine settimana vissuto dai missionari in questa terra. Il loro sabato e la loro domenica sono davvero giornate intense, che mettono a dura prova anche la loro resistenza fisica, ma che – una volta rientrati dalla missione – li riempono di visibile soddisfazione e tanta gioia per le persone e comunità incontrate e per il servizio svolto.