Progetti CMD: lotta alla malnutrizione

A partire da questo anno pastorale abbiamo deciso, come Centro Missionario Diocesano, di seguire e sostenere direttamente alcuni progetti di cooperazione con le realtà missionarie che meglio conosciamo. Di tali progetti vogliamo rendere ben visibile l’intero ciclo di vita con aggiornamenti e rendiconti periodici.

Il primo progetto scelto e finanziato in questo ambito è “Formazione del personale sanitario del Centre de Santé per migliorare le attività di lotta alla malnutrizione”. Si tratta di un piccolo progetto nato nel Nord della Costa D’Avorio, dove vive e opera il nostro padre Matteo Pettinari.

A Dianra Village sorge, gestito dai Missionari della Consolata, il centro sanitario “Joseph Allamano”, a cui sono affidati a livello sanitario 11 villaggi. “Desidero e mi impegnerò”, spiega padre Matteo, “affinchè i nostri operatori sanitari ricevano una formazione specifica sulla malnutrizione perché da questa dipende la professionalità, l’efficacia e la qualità del servizio reso alla popolazione malnutrita dell’area sanitaria di nostra competenza”.

Avere un personale sanitario formato, affiatato e motivato permette di visitare regolarmente la popolazione, di sensibilizzare attraverso campagne di prevenzione e assicurare vaccini e consultazioni prenatali. Farsi prossimi alla popolazione è un lungo e delicato percorso fatto dai missionari. Ciò significa approcciarsi giorno dopo giorno con gradualità, con rispetto delle differenze e con un incessante desiderio di scoprire ciò che ci accomuna.

Tutte le informazioni sul progetto sono disponibili a questo link.

Una chiesa di pietre vive

Il nostro caro Padre Matteo Pettinari ci scrive dalla missione di Dianra, in Costa d’Avorio. Come sempre lo leggiamo con grande gioia.

 

Carissimi tutti, buongiorno!

Vi scrivo oggi da Dianra, dove stiamo vivendo un bellissimo tempo di formazione con i nostri catechisti sulla celebrazione della fede e sulla bellezza di vivere la liturgia. Forse non c’era clima più adatto per condividere con voi la bellissima notizia che abbiamo da qualche settimana, ma che solo negli ultimi giorni diventa sempre più certa e ufficiale. Si tratta della conferma della data della consacrazione della nuova chiesa parrocchiale di Dianra Village!

Chiesa che, più che essere un edificio o una struttura – per quanto bella – è segno visibile e luminoso di ben altro! E cioè delle pietre vive che siamo noi e voi, della comunione che ci lega in Cristo. Una comunione di diversità che è diventata ricchezza. Una comunione che è un abbraccio in cui ogni differenza diventa tessera di un mosaico magnifico, che si riflette nel mondo e nel cuore della nostra vita, della storia e delle culture che ci accolgono qui a Dianra, un segno vivo dell’amore di Dio…

Desidero quindi dirvi, con molto stupore e gratitudine, che domenica 3 marzo, ultima domenica prima del mercoledì delle ceneri, avremo la gioia di consacrare questa chiesa frutto di anni di condivisione e di cammino, di lavoro e di fatica, di gioie, lacrime e vita condivisa anche con tutti voi.

Grazie ancora per il vostro sostegno e per questo Filo d’Oro di amicizia che ci lega e che fa di noi una grande famiglia, la famiglia di Dio.

Vi mando un grande abbraccio, in comunione con Raphael e tutti i catechisti che vi salutano e con cui viviamo questo bel tempo di fraternità e di formazione. Sono proprio loro, i nostri catechisti, coloro che più capiscono e godono del dono di cui parliamo… e che ne sono infinitamente grati. La loro è davvero una vita fatta liturgia, fatta dono e offerta in tutto ciò che sono e fanno: genitori e sposi/e, contadini e uomini/donne che quotidianamente vivono di un lavoro spesso ingrato e duro, persone che sanno lasciare casa e famiglia semplicemente per condividere il dono della Fede e della Parola con chi ancora non conosce Cristo ogni domenica. Sono i nostri maestri di vita e di fede.

A presto!

 

P.S.

Volevo condividere con voi anche l’esperienza molto bella di sabato scorso. Infatti con Emmanuel Korona – un catechista della parrocchia di Dianra Village – ci siamo recati nel pomeriggio in un villaggio particolarmente sperduto ed isolato, inerpicandoci con la nostra Land Cruiser in una strada molto difficile e distrutta dalle abbondanti piogge di quest’anno – villaggio che si chiama Léyériguékaha e che si trova 10 km più isolato dall’ultimo villaggio sulla strada finora da noi battuta per le celebrazioni (e c’è da dire che anche quest’ultimo villaggio, Bébédougou, è a 18 km da Dianra Village su una strada già difficile).

La ragione di questa visita pomeridiana e notturna era che domenica 4 novembre le comunità con cui Emmanuel celebra avevano ricevuto, per la prima volta, una decina di persone che si avvicinavano alla fede e che desideravano – come si dice qui – “pregare con loro”. Domenica 11 novembre, siccome per la seconda volta queste persone si erano presentate facendo a piedi o in moto vari km per arrivare nel luogo dove lui celebrava la Parola, mi ha detto con gioia : “Padre, abbiamo una decina di nuovi “simpatizzanti”! Perché non andiamo a incoraggiarli con tutti i cristiani dei villaggi limitrofi nel loro villaggio?”. Ed è così che sabato sera, con il catechista Emmanuel, alcuni membri della corale di Dianra Village ed altri cristiani delle comunità a cui si erano riuniti per tre settimane i nuovi arrivati, siamo partiti… ed è stata una gioia indicibile, una commozione grande ed un dono immenso – quelle gioie e consolazioni che solo la vita missionaria può regalare!

Per la prima volta, fin dalla creazione del mondo, a Léyériguékaha è stata celebrata l’Eucaristia e, proprio dono della Provvidenza, il tutto è avvenuto la veglia della festa di Cristo Re!

Per me è stata una grande emozione annunciare ufficialmente per la prima volta, proprio a Léyériguékaha, nella periferia della periferia della nostra comunità parrocchiale, la data del 3 marzo, data della consacrazione della nuova chiesa. Come è stato meraviglioso anche mostrare loro in anteprima assoluta il tessuto che sarà l’uniforme della festa con il disegno della chiesa. Per chi non lo sapesse, qua è tipico che per ogni festa ci sia un’uniforme. E siccome questa è una festa particolare, il tessuto con cui ciascuno poi cucirà il proprio abito (la propria camicia, la propria veste, i propri pantaloni o la propria gonna) l’abbiamo confezionato noi (con l’aiuto prezioso ed indispensabile di alcuni di voi!). Che bello era sabato notte, illuminati dalla gioia della regalità di Cristo che celebravamo – Cristo che regna a partire dagli ultimi, negli ultimi e con gli ultimi essendo lui il primo di loro – mostrare questo tessuto e vederlo acclamato, applaudito, atteso.

Scusate la lunghezza, ma volevo farvi partecipi della mia gioia. Che è anche la vostra.

Vi abbraccio forte!

Padre Matteo Pettinari

Il Vangelo è per tutti

Proponiamo l’intervista di “La Voce Misena” a Padre Matteo Pettinari: una forte testimonianza di cosa significa oggi vivere la missione, ovunque ci troviamo, legati tra noi e con il Signore.

Il mese missionario ci fa visitare il mondo seguendo uomini e donne che non hanno avuto paura di lasciare tutto per annunciare il Vangelo fino agli estremi confini della Terra. Tra questi innamorati del Signore Gesù c’è Padre Matteo Pettinari, missionario della Consolata originario di Monte San Vito, che vive a Dianra, nel nord della Costa d’Avorio. Ha mille cose da fare, ma ha trovato un po’ di tempo per rispondere alle nostre domande.

‘Giovani per il Vangelo’, il tema della giornata di quest’anno: cosa significa e soprattutto che stile missionario chiede alle nostre chiese?

Il Vangelo è freschezza e novità di vita. Il Vangelo è una grazia di rinnovamento e di pienezza… parole e realtà che non possono non far pensare ai giovani! Quando un giovane si lascia toccare e provocare, rinnovare ed anche spiazzare dal Vangelo non può che diventare lui stesso vangelo vivente. L’inevitabile sorte di chiunque l’abbia gustato in profondità è diventare lui stesso un’occasione perché quella pienezza e quella gioia trasformi e incontri altre vite. Certamente le prime a doversi lasciar convertire dal Vangelo sono proprio le nostre comunità cristiane che dovrebbero ritrovare la semplicità e l’essenziale della fede, lasciando che il respiro dello Spirito Santo – lo Spirito del Nazzareno – possa anche rompere tutto ciò che rallenta, sfigura e cerca di intrappolare la novità del Vangelo di Cristo. È triste dover constatare che, a volte, il grande assente delle nostre assemblee e liturgie, dei nostri progetti pastorali e delle nostre realtà associative e parrocchiali sia proprio lui, il Vangelo. A volte sembra che per incontrare il Vangelo bisogna allontanarsi dalle nostre strutture. Ecco, credo che questa è la conversione che lo slogan “giovani per il Vangelo” ci chiede. Una conversione che parte da questa domanda: è il Vangelo di casa nelle nostre chiese?

La missionarietà è la stessa in ogni epoca, oppure c’è qualcosa di peculiare che caratterizza la missione in questo tempo?

La prima cosa che vorrei condividere e gridare è questa: la missione non la si capisce mai, la missione la si vive!

Parlando in modo particolare della ‘missione ad gentes’, c’è da dire che è la forma di tutta l’azione pastorale della chiesa, il paradigma del suo anelito più profondo, il perché della sua esistenza: la chiesa esiste per chi chiesa non è (ancora). Parafrasando il nostro fondatore, il Beato Giuseppe Allamano che diceva a noi missionari: “Voi siete per i non cristiani”, potremmo dire che tutta la chiesa esiste, respira e vive per loro. Credo che la prima conversione che ci chieda la ‘missione ad gentes’ in quanto Chiesa – in ogni luogo, in ogni ambito, in ogni situazione ed in ogni realtà parrocchiale associativa – è proprio questa: renderci conto che la ragion d’essere della nostra esistenza, il nostro baricentro non siamo noi, non è dentro le nostre strutture e le nostre dinamiche ad intra ma fuori, dove il Vangelo non è amato o non è conosciuto o è rifiutato. In quanto chiesa esistiamo per intercettare – con il nostro amore, la nostra testimonianza ed il nostro desiderio di incontrare tutti – proprio queste situazioni e precisamente a partire da coloro che sembrano non avere avuto mai avuto o non ancora o non più il bisogno di Cristo.

Ecco, credo che la missionarietà – quella che ci coinvolge tutti in quanto battezzati e discepoli di Cristo, in quanto (almeno parzialmente) evangelizzati (!) – sia proprio questo: renderci conto che,  come Cristo noi esistiamo per la vita e la salvezza del mondo che coincidono con la gloria del Padre. Missionarietà è quindi vivere sbilanciati, vivere bruciando ad ogni passo un po’ di più quell’egoismo che ci portiamo tutti dentro – personalmente e come chiesa. Missionarietà è questo desiderio di rompere barriere, abbattere frontiere, culturali, politiche, sociali e religiose e seminare la potenza e la bellezza del Vangelo in ogni ambito della vita, con umiltà, discrezione, tenacia, perseveranza e infinita  pazienza. Missionarietà è accogliere lo stile di Maria, donna feriale di Nazareth, donna mischiata a tutte le altre, donna che in niente era diversa dalle altre se non per quella relazione specialissima, personalissima, profondissima con il figlio suo, Gesù di Nazareth, Salvatore di tutti.

Finisco, quindi, immaginando e sognando con voi due coordinate per me essenziali della missionarietà oggi: una relazione intima, profonda, contemplativa e personalissima con Gesù di Nazareth accolto come Signore, amico fratello e Salvatore di tutti e la capacità di mischiarsi e confondersi, nascondersi e perdersi come lievito che feconda e trasforma ogni realtà della nostra vita ed ogni ambito della società.

Laura Mandolini.

Da “La Voce Misena” dell’11 Ottobre 2018.

Suor Luigina ed il suo Giappone / 2

Ecco la seconda parte dell’incontro di “La Voce Misena” con Suor Luigina Buti, originaria di Ostra Vetere e missionaria in Giappone, incontro che rientra nel progetto curato dal Centro Missionario per mantenere regolari contatti con i missionari della nostra diocesi. Puoi leggere la prima  parte qui.

Nell’estremo Oriente
I primi due anni li ho trascorsi a Tokyo, dove ho cominciato a studiare il giapponese in un istituto per missionari gestito dai frati francescani. Con me studiavano altre persone desiderose di far conoscere Gesù Cristo in questo arcipelago così particolare ed è stato un momento di vera comunione con chi condivide con me, alcuni anche oggi, questa stupenda sfida”.

La scuola, una vita
Si è subito buttata nella mischia, suor Luigina, cominciando ad insegnare inglese e religione in una scuola cattolica: “In Giappone l’ora di religione è una sorta di pre-evangelizzazione, un’occasione per approfondire la spiritualità. Ho insegnato per quarantadue anni, ho visto tanti studenti con la Bibbia in mano con i quali, nella semplicità del cuore, poter parlare di quel Gesù Cristo che per me è l’unico Salvatore di tutti gli uomini. Non si è trattato di convertire a tutti i costi o di mettersi contro altre religioni: piuttosto essere testimone e portatore dell’amore di Dio per ogni creatura”.
La scuola si è rivelato un ottimo ambiente umano e di incontri significativi, anche perché nelle parrocchie i cristiani sono pochissimi ed in generale non è facile instaurare relazioni. I contatti con gli alunni, le famiglie, gli insegnanti hanno rappresentato l’habitat naturale: “sono stata al centro della mia vocazione: far conoscere Gesù a chi non lo conosce, anzitutto con la vita”.
Ora vive un nuovo inizio, come lo chiama lei, ha concluso proprio in questo anno il suo insegnamento e porta nel suo cuore più di cinquemila studenti. “La scuola inizia la mattina e si conclude nel tardo pomeriggio, occupa la stragrande maggioranza del tempo dei ragazzi e dei giovani. C’è stato modo di confrontarsi, conoscersi, capirsi. Ho cercato di seminare il seme dell’amore di Dio anche se nessuno di questi studenti ha chiesto il battesimo; ho voluto semplicemente fare la mia umile parte, i frutti li lascio a Lui”.

Cristiani e società
Il Giappone in realtà non era nei suoi programmi. “Il mio cuore era aperto al mondo intero. Dopo aver preso i voti sono stata inviata a proseguire gli studi di studi di Scienze sacre al ‘Regina mundi’ a Roma. I miei superiori mi avevano detto che c’era tanto bisogno di andare in Giappone e ho accettato subito. Di lì a poco è diventata la mia seconda patria e se non mi verrà proposto altro, penso proprio che la mia vita terrena si concluderà in quella terra così particolare. Ora che sono libera dalla scuola sono stata trasferita in un altro luogo ed ancora non ho chiaro il mandato che mi sarà affidato. Avrò altre possibilità di amare e servire, mi darò ad altri ambiti più pastorali e di carità con le persone anziane, gli ammalati, i bambini, le esigenze della diocesi. Una nuova partenza per rimettere in moto la mia vocazione. Ciò che doniamo, rimane, anche se esternamente sembra non cambiare nulla”.

Non sappiamo tanto dei cristiani del Giappone e la Chiesa cattolica è una piccola realtà. “Ci sono sedici diocesi, ognuna con diverse parrocchie. Forse nelle grandi città sono più attive, ma io sono sempre vissuta in piccoli centri in campagna, c’è stato sempre il parroco, ma la vita pastorale è poco vivace. In questi posti rimangono gli anziani, anche perché la vita scolastica, dalle medie in poi, occupa i giovani quasi completamente. Nelle nostre scuole la stragrande maggioranza non è cristiana, nella mia scuola ad esempio erano 17 su oltre duecento iscritti. I bambini della materna, nelle nostre scuole, imparano a pregare, a respirare lo stile della fede cristiana e pur non essendo battezzati, in molti portano in loro stessi, come una perla preziosa, quell’educazione cristiana che hanno ricevuto e che per loro, anche in età adulta, continua ad essere un riferimento forte, un nutrimento vero, soprattutto in situazioni esistenziali particolari e delicate: di tutto questo posso testimoniare tanti incontri ed esperienze”.

Dopo la seconda Guerra mondiale il Giappone aveva tante vocazioni locali, ora, come ovunque, sono diminuite, tanto che oggi molti sacerdoti sono ‘importati’ dalla Corea e dal Vietnam. “Nel dopoguerra c’è stato il boom delle conversioni, anche perché per i nipponici aver perso il conflitto ha rappresentato un terribile shock, un trauma sociale e personale: nessuno avrebbe immaginato questa sconfitta, il loro imperatore era una divinità! Nel tempo anche questa figura è stata ridimensionata, la corsa allo sviluppo economico e tecnologico ha preso il sopravvento ed anche i giapponesi vivono la secolarizzazione tipica delle società occidentali, perdendo quasi completamente il riferimento al sacro, se non in certi momenti importanti della vita. La compresenza di diverse religioni è un dato di fatto, in alcune famiglie magari solo un membro è cattolico, coesistono tante spiritualità e questo avviene in modo molto libero e sereno”.

La seconda patria
Il pudore e la formalità sono la caratteristica della gente del Sol Levante: “Siamo stati accolti benissimo, mi hanno dato tanto in termini di serenità e sicurezza. La qualità dei servizi è ottima, mi sento a casa ma naturalmente ritorno in Italia sempre tanto volentieri, anche se sento forte la differenza sociale e culturale, sono mondi tanto diversi. In Italia ci sono tante forze spirituali che purtroppo vengono raccontate poco, qui sembra che le proprie opinioni siano più vere ed importanti di tutte le altre. La discrezione e la sobrietà giapponesi sono lontani anni luce dalla passionalità italiana”.

Quando torna dai suoi cari è felicissima di fare tappa a Roma, in particolare nella basilica di San Pietro. Tanto più che oggi c’è un papa che tra i suoi sogni giovanili aveva proprio il desiderio di parlare di Dio in quell’estremo Oriente dove lei vive e si augura che Bergoglio possa avverare questo suo desiderio, sarebbe un grande dono. Al termine di questa chiacchierata ha voglia di regalarci uno stupendo canto di preghiera, su cui danzano sconosciute parole di fede ed affidamento, ci proietta in un attimo in melodie che profumano di oriente. “Dobbiamo riprendere il vangelo in mano e leggerlo con il cuore, non con la mente (questo lo lasciamo agli studiosi), perché se anche non lo comprendiamo tutto, è capace di regalarci qualcosa di grande, una libertà che non ha eguali. Lo spero tanto per i giovani, perché possano lasciarsi affascinare da questo meraviglioso messaggio”.
E’ felice di ripartire, ha il cuore giovane; ogni volta una ripartenza con l’entusiasmo della prima volta. con l’invincibile voglia di pensare al mondo intero come una grande famiglia in cui c’è posto per tutti. Arigatò, suor Luigina, suora umile e tenace, come la gente d’Oriente.

Laura Mandolini.

Da “La Voce Misena” del 13 Settembre 2018.

Suor Luigina ed il suo Giappone / 1

Proponiamo la prima parte dell’incontro di “La Voce Misena” con Suor Luigina Buti, originaria di Ostra Vetere e missionaria in Giappone. E’ un incontro che rientra nel progetto curato dal Centro Missionario per riprendere e mantenere regolari contatti con i missionari della nostra diocesi.

L’incontro con la missionaria canossiana, una vita dedicata agli alunni, alla testimonianza umile e discreta del Vangelo. 

Luigina Buti vive in Giappone. E’ una suora canossiana, originaria di Vaccarile di Ostra. Ha frequentato le Magistrali presso la scuola del suo ordine, a Colle Ameno di Ancona. Poi la vocazione religiosa e la partenza. L’abbiamo incontrata nella frazione ostrense in occasione delle sue vacanze che, ogni quattro anni, la riportano in Italia. Scattante, energica, seppure minuta, regala immediatamente il sorriso accogliente tipico della terra che la accoglie da tantissimi anni. Sarà una suggestione, ma anche i suoi occhi sembrano essere più piccoli e vivaci, come le piccole fessure della gente asiatica.

Storia di una vocazione.

La sua è una storia tanto semplice quanto entusiasmante. All’ultimo anno delle superiori, pensando a cosa volesse fare della sua vita una
volta finita la scuola, era spesso in cappellina perché la vita di collegio non permetteva tanto silenzio e privacy. Lei, invece, aveva tanto bisogno di ritagliarsi del tempo per pensare, riflettere, capire: “Lì dentro mi sono accorta che non ero sola, quel Gesù custodito nel tabernacolo divenne pian piano una presenza intima, reale. Un rapporto tra me e Lui che si è consolidato nel tempo, un dialogo aperto e sincero di cui non potevo fare più a meno. Ad un certo punto ho avvertito dentro di me come un ‘flash’ – non una parola umana – che mi ha detto ‘se vuoi lascia tutto, vieni e seguimi. Avevo diciotto anni, ora ne ho settantuno, questo flash non è mai venuto meno, non ho mai pensato di avere sbagliato strada”.

Nasce così la sua vocazione, vissuta nell’unico ordine religioso conosciuto fino a quel momento e contemporaneamente, dentro di lei, nascono due altre immagini così reali e vivide da imprimere la sua intera esistenza: il mondo e la voglia di far conoscere questo suo Amore speciale a chi non ne hai mai sentito parlare. Le suore Canossiane la accolgono e dopo il noviziato a Vimercate le spalancano le porte sul mondo. Ed il suo sogno missionario si è potuto così realizzare.

“Non è stato facile intraprendere questa strada. I miei familiari avevano dei progetti per me e prima di poter dire loro questo mio desiderio,
ho chiesto di poter andare in Inghilterra a studiare la lingua inglese. Soprattutto mio padre mi ha sostenuta in questa idea, convinto
com’era che la conoscenza di questa lingua aprisse tante porte professionali. Mia madre, invece, aveva forse intuito da subito che mi avrebbe ‘persa’. I mesi inglesi scorrevano via e dopo un anno ho fatto loro presente il mio desiderio vocazionale missionario e tutto questo ha creato un po’ di sofferenza in famiglia. Soffrivano all’idea di non vedermi più e ho impiegato quasi tre mesi, al mio ritorno dall’Inghilterra, per convincerli”.

Orgogliosamente suor Luigina mostra l’articolo scritto da suo cugino per Voce Misena, in cui viene annunciata la sua partenza e l’intenzione
del vescovo Odo Fusi-Pecci di consegnarle il crocifisso della missione. “E’ stato il vescovo a venire a Vaccarile, il 22 settembre 1974 e l’8 ottobre dello stesso anno sono partita per il Giappone.” (continua)

Laura Mandolini.

Da “La Voce Misena” del 13 Settembre 2018.

La cooperazione internazionale e missionaria: come approfondire

La recente sessione di formazione alla cooperazione internazionale e missionaria, organizzata dal CMD di Senigallia dal 10 al 12 Novembre scorsi, ci ha offerto l’occasione per dare uno sguardo d’insieme, ma anche particolareggiato ove era più utile, al mondo della cooperazione attraverso gli occhi esperti di Chiara Giovetti, responsabile dell’ufficio progetti di Missioni Consolata Onlus.

Chiara ci fornisce ora alcuni spunti di approfondimento, scelti tra la vasta documentazione disponibile in rete.

In primo luogo, riguardo alla teoria del ciclo di progetto è disponibile il Manuale Formez, libera traduzione delle linee guida europee del 2001 sul ciclo di progetto:
Il manuale UE è stato aggiornato nel 2004 e la versione in uso è questa:
 
Sono disponibili anche sintesi e presentazioni variamente ispirate alle linee guida UE. Questa ad esempio è una presentazione di Europe Direct Marche, un portale sull’UE dell’università di Urbino:
Inoltre, da un po’ di anni a questa parte si parla molto di Theory of Change, teoria del cambiamento, che in somma sintesi nasce dall’interrogarsi degli operatori della cooperazione riguardo a quanto e come la cooperazione è stata ed è capace di generare cambiamenti reali, positivi e duraturi.
Qui il documento elaborato dal gruppo di lavoro di info-cooperazione, il blog punto di riferimento per la cooperazione in Italia:

Sullo stesso blog si trova poi tanto altro, dalla discussione sul quadro logico allo stato dell’arte del dibattito sulla cooperazione in Italia, dalle notizie ai bandi. Si consiglia caldamente di navigarci un po’ perché è molto utile per familiarizzare con il lessico e i meccanismi della cooperazione e per avere il polso di che cosa sta succedendo oggi, non solo in Italia, in questo settore.

Infine i documenti della CEI:

Dall’aiuto umanitario alla cooperazione: tre giorni per capire

La “cooperazione allo sviluppo” è uno dei molti volti della missione. Fino a poco tempo fa la si chiamava “promozione umana”. Parlare di “promozione umana” permette di focalizzare l’obiettivo; parlare di “cooperazione” significa evidenziare la modalità del processo il cui fine è promuovere la vita degli uomini, perché non ci può essere autentico sviluppo senza il coinvolgimento attivo delle varie parti che compongono la realtà che va trasformata. Cooperazione significa camminare per crescere insieme, anzitutto attraverso il rapporto. Il termine “cooperazione” ha avuto fortuna a causa del fallimento di moltissime opere basate sulla progettualità e sulle risorse provenienti del “Nord” del mondo, senza il coinvolgimento e il protagonismo di quei popoli che della nostra solidarietà erano considerati solo i beneficiari.

Se da un punto di vista lessicale la questione è piuttosto semplice, nell’esperienza non lo è affatto. Fare promozione umana cooperando è una sfida che, per chi l’accoglie, comporta spesso più problemi che successi! Il bello però è che ad ogni livello, dal contadino indigente del villaggio sconosciuto alla topografia fino al missionario che gli si è fatto accanto, dalla parrocchia italiana che si muove per essere solidale alla singola persona che decide di fare una donazione, tutti si è coinvolti attivamente nel tentativo di una trasformazione in positivo della realtà dell’altro e di sé.

Come Centro Missionario Diocesano consideriamo prioritario per la nostra equipe e per il territorio mettere in cantiere delle occasioni formative di qualità nell’ambito della cooperazione. Da questa valutazione scaturisce la proposta di una sessione di formazione specifica curata dalla dott.sa Chiara Giovetti, responsabile dell’ufficio progetti di Missioni Consolata Onlus ONG, nei giorni 10, 11 e 12 novembre a Senigallia.

Trovi tutte le informazioni ed i contatti per poter partecipare in agenda.

Conosciamo i nostri missionari: Suor Anna e Suor Roberta

Conosciamo Suor Anna e Suor Roberta, che dalla nostra diocesi sono diventate missionarie in Libano e Turchia.

Suor Anna Basili

Sono originaria di Corinaldo e faccio parte dell’ordine delle Figlie della carità. Ho insegnato matematica, fisica e scienze in Italia per 17 anni (tra Genova e La Spezia), poi sono partita per il Libano da adulta. Non nasco come suora missionaria, ma ho accolto l’invito della mia Madre generale a partire e nel 1982 volavo verso il Libano. Lì c’era ancora la guerra civile, ma mi sono subito inserita in una scuola cattolica (ci sono molte scuole cristiane e sono molto apprezzate), ho insegnato religione. Poi mi hanno mandato in un paese sopra Beirut, Jatun, dove abbiamo aperto una scuola, prima soltanto la scuola media, poi quella superiore e ora ha oltre mille adulti e funziona bene. Sono stata responsabile della scuola, non insegno più anche perché a scuola molti studenti vogliono esprimersi in libanese e io non lo conosco così bene da insegnare in quella lingua. Seguo i ragazzi che hanno qualche difficoltà e in più sono responsabile della cappella della scuola e della cappella delle suore. Sono impegnata inoltre in una casa di accoglienza per rifugiati e migranti: nata inizialmente per i rifugiati iracheni, oggi dà ospitalità anche a profughi siriani, circa ottanta ragazze. Con loro, altre ragazze filippine e srilankesi che vengono invitate con l’illusione di un lavoro ed invece vengono avviate alla prostituzione. Diverse religioni ed esperienze, ma la stessa voglia di essere protetti.

Qual è la situazione in Libano?

Ufficialmente la guerra è finita nel 1990, ma la situazione è ingarbugliata. Il Libano è una democrazia confessionale e da due anni siamo senza Presidente della Repubblica. Questo viene indicato dai cristiani (poi entra in carica se le altre confessioni accettano il nome), ma non è ancora stato nominato perché non riescono a mettersi d’accordo su quale nome proporre. Malgrado ciò, il paese va avanti ugualmente. I libanesi, poco più di un milione, sono stanchi del gran numero di rifugiati che hanno riparato nelle loro terre, la sproporzione tra libanesi e siriani è altissima. La guerra fa paura a tutti, ma gli esiliati sono per la maggior parte musulmani sciiti perché il dittatore Assad, padre e padrone della Siria, si è particolarmente accanito contro di essi, essendo invece un po’ più benevolo, si fa per dire, con i cristiani. Nonostante tutto, la vita in Libano continua. C’è povertà, ma non miseria e c’è anche una classe media abbastanza diffusa. Prima i cristiani erano la maggioranza, adesso no. Comunque ognuno può liberamente professare la propria religione ed è un privilegio soltanto libanese, in mezzo ad un Medioriente sempre più fondamentalista.

Qualche flash di vita ecclesiale

Con ventuno riti e confessioni diverse, non è facile vivere una vita parrocchiale come la intendiamo in Italia; sono invece molto fiorenti i movimenti ecclesiali, come ad esempio i ‘Focolarini’. Papa Giovanni Paolo II aveva trovato una sintesi perfetta per descrivere il Libano: “E’ un messaggio per tutto il mondo, esempio di convivenza tra molte religioni e confessioni”. L’ecumenismo è un dato di fatto, ad esempio nella nostra scuola, durante la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, invitiamo ministri di altre confessioni e chiediamo loro testimonianza e preghiera comune. Il popolo, cristiano o ortodosso che sia, accede agli stessi sacramenti, a volte anche all’insaputa dei preti stessi. La rigidità e la chiusura sono molto presenti nei religiosi, nella gente no. Ci si sente uniti e anzitutto cristiani. I cristiani d’Oriente hanno bisogno di sapere che nel mondo ci sono altri cristiani che pensano a loro, perché a volte si sentono abbandonati. Anche i missionari hanno bisogno di vicinanza e di sentire vicina la comunità dalla quale provengono, per lenire la solitudine che di tanto in tanto può farsi sentire.

Suor Roberta Neri

Sono di Ostra e appartengo alle Suore di carità dell’Immacolata concezione di Ivrea. La nostra congregazione è nata a Rivarolo, nel 1873, per aiutare i bambini ad avere un’istruzione. La nostra fondatrice ha aperto scuole per bambine, in quell’epoca le più escluse dall’istruzione. Siamo anche nelle parrocchie, in Italia, nelle zone dove mancano sacerdoti (Irpinia, Calabria), poi come missionarie siamo in Argentina, Ecuador, Messico, Kenya, Tanzania, Turchia, Israele e Libano. Siamo a Smirne, in Turchia, da 129 anni. Questa è stata infatti la prima missione estera della nostra congregazione , creata per aiutare la folta colonia di italiani. C’erano ben cinque case, ora è rimasta soltanto la nostra, dove vivo anche io e che possiamo dire sia un segno, perché era la casa scuola per i poveri, mentre le altre erano a pagamento. Tutt’ora aiutiamo le persone bisognose. Questa scuola è materna e primaria, siamo rimaste tre suore e la superiore volevano chiuderla. Ma quando un nostro ex alunno turco-francese ha saputo di questa intenzione ha preso in mano la gestione della nostra struttura, accettando questo incarico soltanto se fossimo rimaste. Nella scuola primaria possiamo accettare soltanto ragazzi stranieri, mentre in quella materna anche bambini turchi. Abbiamo un buonissimo rapporto con le famiglie turche. Siamo attive anche in parrocchia, con i padri Domenicani, per l’accoglienza, la catechesi ed i bisogni spirituali delle tante famiglie straniere che vivono a Smirne. Tutti sanno che siamo religiose, ci apprezzano e ci stimano. In Turchia la situazione è difficile oggi, anche se Smirne, a differenza di Istanbul, è molto tranquilla. Ci sono molti meno turisti a causa della situazione internazionale.

I cristiani, che qui vengono chiamati ‘levantini’ sono tanti in Turchia, anche se in molti sono emigrati. A Smirne sono 1000 su sette milioni di abitanti. I periodi forti dell’anno liturgico sono molto sentiti, la pastorale è piuttosto di testimonianza, di vicinanza quotidiana tra le persone. Si vive in modo semplice, l’evangelizzazione in senso stretto non è permessa e ora non so cosa pensare per il futuro, perché la Turchia, come il vicino Medioriente, vive tempi di grande incertezza. L’ecumenismo è molto presente, il patriarca di Costantinopoli è venuto diverse volte a Smirne e ad Efeso: è un tipo molto aperto, sereno, parla un italiano perfetto. Davvero una persona meravigliosa che lavora tanto per l’unità dei cristiani, specialmente a Istanbul anche perché a Smirne gli ortodossi sono molto pochi. C’è una piccola presenza di protestanti ed anglicani.

a cura di Andrea Falcinelli e Laura Mandolini

da “La Voce Misena” del 20 Ottobre 2016

La foto di Suor Roberta Neri proviene da un reportage che La Repubblica ha dedicato alla comunità cattolica di Smirne, in occasione della visita di Papa Francesco in Turchia nel novembre del 2014.

Progetto “NonSoloPozzo”

La nostra diocesi è ricca di esperienze di cooperazione missionaria che vogliamo aiutare a far conoscere, come il progetto “NonSoloPozzo”, sostenuto dalla Parrocchia del Portone di Senigallia fin dal 2005. Presentiamolo così come lo descrive la parrocchia stessa.



Gli inizi

Una giovane coppia muore di aids, una bambina rimane orfana, un prete cerca aiuto, una donna accoglie la sua richiesta.
Storie di morte, amore, resurrezione. La storia del mondo e della Chiesa. Su queste basi nasce il progetto “NonSoloPozzo” della parrocchia del Portone.
Il prete, Padre Peter Ndunguru della parrocchia di Lowerere, 15000 abitanti nella regione di Rombo in Tanzania, alle falde del Kilimanjaro, nel 2005 viene a Senigallia per ringraziare chi ha “adottato” la bambina orfana. Così conosce altre famiglie amiche, Don Giuseppe e Don Francesco, sacerdoti al Portone. Racconta che la zona dove vive è molto arida ed è molto grave la mancanza di acqua. Durante una cena viene l’idea di suggerirgli la costruzione di un pozzo.
Tornato a casa, padre Peter si mette in azione e poco dopo presenta un progetto per la costruzione di un pozzo, chiedendo il nostro aiuto. E’ subito chiaro che non ci si può fermare al pozzo e ad un mero aiuto economico. Da questa consapevolezza scaturisce il nome del progetto.

In seguito alla visita in Tanzania nel giugno 2008, abbiamo scelto di permettere ai ragazzi di Lowerere di frequentare la scuola. Infatti la povertà è tale che molti ragazzi non possono pagare la retta scolastica. Anche la divisa diventa un ostacolo alla frequenza delle scuole: alcuni ragazzi non ne possiedono una e non hanno vestiti dignitosi, per cui si vergognano di presentarsi in pubblico, sia a scuola sia in chiesa. Molti bambini e ragazzi, senza la scuola, vivono in condizioni estremamente misere, tutto il giorno lasciati soli dai genitori che si recano al lavoro.

Cosa è stato fatto.

  • Nel 2008 abbiamo realizzato una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, necessaria per soddisfare i bisogni dei bambini e dell’intera comunità.
  • Dal 2009 circa 30 famiglie della Parrocchia sostengono gli studi di alcuni ragazzi di Lowerere. In questi anni hanno concluso il loro percorso scolastico ben 41 ragazzi! Abbiamo inoltre fornito delle macchine da cucire per far lavorare le ragazze. Nell’anno scolastico 2015/16 abbiamo sostenuto gli studi di 20 ragazzi (dall’asilo alle scuole superiori) e 2 studentesse universitarie.
  • Tra il 2010 e il 2012 abbiamo costruito un asilo per 200 bambini, perfettamente funzionante e dotato di cucina che ogni giorno fornisce il pasto ai bambini. Inoltre in occasione della Quaresima 2011 i ragazzi del Catechismo e dell’ACR della Parrocchia hanno acquistato le divise per tutti i bambini che frequentano l’asilo. Oggi l’Asilo San Pio IX è una realtà molto qualitificata per il grado di preparazione delle maestre e richiama iscrizioni da una vasta area della Tanzania.

Siamo parrocchie sorelle.

Siamo convinti che la bellezza di ogni relazione di aiuto è che non è mai a senso unico. La gente di Lowerere ha tanto da trasmetterci e la vera ricchezza non sta nel pozzo, ma nella relazione di amicizia che vogliamo costruire.

Siamo diversi per cultura, stile di vita, condizioni economiche e abitudini, ma nonostante tanta distanza siamo fratelli in umanità e nella fede e formiamo un solo corpo in Cristo. La comunità di Lowerere ci ricorda sempre nelle celebrazioni eucaristiche, soprattutto nelle giornate delle Comunioni e Cresime. Manteniamo acceso questo “fuoco”: pregare gli uni per gli altri ci fa essere comunità aperte sul mondo e uniti nelle necessità.

Per saperne di più.

Reportage dalla Costa d’Avorio

La Rivista Missioni Consolata, con i numeri di Marzo ed Aprile 2017, ha pubblicato un reportage sulla Costa d’Avorio a cura di Chiara Giovetti. Uno spaccato molto interessante sull’attuale situazione del paese africano, con particolare attenzione alle missioni di Marandallah e Dianra ed alle opere di Padre Matteo Pettinari, di Monte San Vito,  e degli altri Padri che alcuni di noi hanno avuto la fortuna di conoscere in questi anni: Padre Ramón Lázaro Esnaola, superiore dei missionari della Consolata in Costa d’Avorio, Padre Manolo Grau, spagnolo, e Padre Raphael Njoroge Ndirangu, keniano, che operano a Dianra insieme a Padre Matteo.

Qui sotto i link ai due articoli.