Colonia francese fino al 1960, la Costa d’Avorio ha conosciuto un ventennio di grande crescita subito dopo l’indipendenza sotto la presidenza di Félix Houphouët-Boigny. A trainare l’economia ivoriana furono principalmente il caffè, il cacao e, in misura minore, l’olio di palma e l’ananas. La Francia, sebbene non più madrepatria, continuò tuttavia ad avere grossi interessi nel paese e a sostenere il presidente Houphouët-Boigny.
Negli anni ottanta il miracolo economico ivoriano si interruppe a causa di una negativa congiuntura internazionale e della siccità, che colpirono duramente un’economia non ancora abbastanza forte. La situazione politica cominciò a destabilizzarsi, ma resse fino al 1993, anno della morte del vecchio presidente.
Dopo una decade di lotte per la successione nei primi anni Duemila ebbe inizio la prima crisi ivoriana. Un lungo periodo di conflitto latente e instabilità iniziò nel 2002 con la guerra civile, che opponeva i ribelli del nord guidati da Guillaume Soro al governo centrale del presidente Laurent Gbagbo. Tra i principali motivi del contendere, la sperequazione economica e lo stato di precarietà nel quale vivevano le popolazioni del nord, composte anche da immigrati dei Paesi limitrofi che si trasferivano in Costa d’Avorio per lavorare nelle piantagioni di cacao e cotone.
Il dibattito sulla cosiddetta “ivorianità”, cioè sull’appartenenza alla nazione ivoriana, ha infuocato gli animi delle due parti in lotta poiché da quella definizione dipendeva in concreto, lo svolgersi del censimento che a sua volta avrebbe determinato la compilazione degli elenchi di aventi diritto al voto. Il governo centrale, infatti, era consapevole del vantaggio che avrebbe ottenuto il partito dei ribelli se fossero stati riconosciuti come ivoriani i milioni di togolesi, burkinabé, maliani, senegalesi e guineani che abitano il nord del Paese. D’altro canto, le mai chiarite influenze dei Paesi confinanti, in particolare del Burkina Faso, e il ruolo che la Francia ha avuto nel conflitto fornivano al governo centrale il pretesto per parlare di ingerenza straniera negli affari interni di uno stato sovrano. Il bilancio vittime non è mai state chiaramente e univocamente stilato; alcune fonti indicano un numero di morti fra i 1.500 e i 2.000.
Dopo il governo di transizione che ha visto Gbagbo e Soro governare insieme, si sono svolte nel novembre 2010 le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria del candidato del partito di opposizione Alassane Ouattara. Il presidente uscente Gbagbo, però, ha inizialmente rifiutato di abbandonare la carica e nel Paese si è di nuovo esacerbato il conflitto, che ha provocato oltre tremila morti.
La situazione di stallo politico si è poi conclusa con l’arresto di Gbagbo che ora si trova all’Aja per rispondere davanti al Tribunale Penale Internazionale di crimini contro l’umanità. Nel marzo 2013, le parte occidentale del Paese è stata percorsa da diversi attacchi provenienti dai Paesi limitrofi condotti da gruppi armati non identificati che hanno provocato circa tremila rifugiati. Questi vanno ad aggiungersi ai circa 186 mila sfollati interni che si concentrano specialmente nella parte occidentale del Paese.
Nell’inverno del 2017 si sono verificati numerosi ammutinamenti in seno all’esercito. A rivoltarsi sono stati 8.500 ex-ribelli, integrati nelle forze armate ivoriane a partire dal 2011. Le loro richieste – rivolte al presidente Ouattara, del quale hanno sostenuto l’ascesa al potere – riguardavano un premio in denaro di circa 12 mila euro a testa, case per le loro famiglie e migliorie alle caserme. Gli ammutinamenti sono continuati per alcuni mesi; ogni volta che una trattativa con il governo non dava i risultati sperati dai militari, questi uscivano dalle caserme bloccando le strade e in alcuni casi abbandonandosi a violenze sulla popolazione civile.
Ad oggi la situazione sembra essersi stabilizzata ma permangono motivi di incertezza, legati anche all’economia molto fluttuante. Se, da un lato, la Costa d’Avorio è uno dei paesi africani che cresce con ritmi più sostenuti – oltre l’8% nel 2016: l’Italia cresce all’1,4% – dall’altro è ancora lontana dallo sfruttare appieno le proprie risorse e dal redistribuirle equamente, in modo che la crescita benefici davvero i suoi cittadini.
Lo scorso inverno, nei porti di Abidjan e San Pedro oltre 400 mila tonnellate di fave di cacao giacevano invendute perché il loro prezzo era fuori mercato. Mantenuto fittiziamente alto per fini elettorali dall’ente governativo che regola il mercato interno del cacao, il prodotto ivoriano si trovava a non essere più concorrenziale dopo che il prezzo del cacao sul mercato internazionale aveva subito una riduzione del 25%.